ALLEGORIA: La denuncia dell’arte – Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta

Posted on gennaio 6, 2009

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Il capitano si avvicinò al cane per accarezzarlo.

                    No – disse il vecchio allarmato – è cattivo: una persona che non conosce, magari prima si fa toccare, la fa assicurare e poi morde… è cattivo quanto un diavolo.

                    E come si chiama? – domandò il capitano, incuriosito dallo strano nome che il vecchio aveva pronunciato per acquietarlo.

                    Barruggieddu si chiama – disse il vecchio.

                    E che vuol dire? – domandò il capitano.

                    Mai sentito – disse il brigadiere. E in dialetto chiese spiegazioni al vecchio. Il vecchio disse che forse il nome giusto era Barricieddu, o forse Bargieddu: ma in ogni caso significava malvagità, la malvagità di uno che comanda; ché un tempo i Barrugieddi o Bargieddi comandavano i paesi e mandavano la gente alla forca, per piacere malvagio.

                    Ho capito – disse il capitano – vuol dire Bargello: il capo degli sbirri.

Imbarazzato il vecchio non disse né sì né no.

Il capitano avrebbe voluto chiedere al vecchio se avesse notato qualcuno, giorni prima, dirigersi verso il chiarchiaro; o se comunque avesse visto qualcosa di sospetto da quella parte. Ma capì che non c’era niente da cavare da uno che riteneva il capo degli sbirri cattivo quanto il proprio cane. E non è che avesse torto pensava il capitano: da secoli i bargelli mordevano gli uomini come lui, magari li facevano assicurare, come diceva il vecchio, e poi mordevano. Che cosa erano stati i bargelli se non strumenti della usurpazione e dell’arbitrio?

Salutò il vecchio e per il viottolo si avviò allo stradale. Strattando la corda che lo legava il cane abbaiò una minaccia. «Bargello – penso il capitano – bargello come me: anch’io col mio breve raggio di corda, col mio collare, col mio furore»: e più si sentiva vicino al cane di nome Barrugieddu che all’antico, ma non tanto antico, bargello. E ancora pensò di sé «cane della legge»; e poi pensò «cani del Signore», che erano i domenicani, e «Inquisizione»: parola che esce come in una vuota oscura cripta, cupamente svegliando gli echi della fantasia e della storia. E con pena si chiese se non avesse valicato, fanatico cane della legge, la soglia di quella cripta. Pensieri, pensieri che sorgevano e si dissolvevano nella vampa in cui il sonno da sé si consumava.

Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, La Nuova Italia, Adelphi, 1993